Fine

Eccoci all’ultimo giro di giostra. “Un’Altra Vita” finisce oggi, 29 novembre, alle 21.15, con la puntata sul Lavoro. Bel viaggio, sia scrivere questo programma, con Nicola, sia viaggiare on the road per registrarlo. E poi quest’onda di commenti, plausi, idee… Che bello, che onore! Questo programma ha scatenato l’entusiasmo che già si vera verificato per i tre saggi usciti con Chiarelettere, dalla fine del 2009 al maggio 2012. Grande sintonia con tantissima gente, persone sconosciute, che pure vivono quest’epoca infame con la voglia di costruire una vita diversa. La loro vita. Dunque quella di tutti. Basta con questo mondo storto…

Io, come sempre, ho rubato ogni cosa: le storie su carta quando le abbiamo selezionate; le storie e le persone incontrate a casa loro, la macchina televisiva, i modi e i toni delle persone con cui ho lavorato. Molto istruttivo, come sempre. Un altro pezzo della strada. Soprattutto ho imparato molto sul linguaggio televisivo. Scrivere una trasmissione non è come scrivere un racconto, un romanzo, un saggio, una poesia, o per il teatro. Per un autore ogni linguaggio è un po’ come una nuova vetta per l’alpinista. Un nuovo orizzonte per il marinaio.

Ringrazio tutti voi per aver seguito in così tanti questo programma. Vi ringrazio per avermi detto, nei fatti e a parole, che la televisione non è né buona né cattiva, come quasi ogni cosa dell’uomo: basterebbe rallentarla un po’, farla più di parole significative che di immagini mozzafiato, centrando i temi che ci riguardano, cogliendo nel vivo le nostre emozioni profonde. Se ci siamo riusciti, per parte mia, è un vero successo. Grazie anche a RAI 5, splendida rete, che ha cambiato molte regole, che fa bene quello che fa. Grazia a Elena Veniani, grande maestro della trasmissione. Grazie a Nicola Alvau, così diverso da me, ma con cui trovarsi (e navigare) è stato bello e possibile. Grazie a The Munchies che ha realizzato un prodotto di grande qualità tecnica.

Ora che Un’Altra Vita finisce, che il nuovo libro è stato consegnato (uscirà il 10 gennaio), mi godo altro tempo lento, tempo che non doveva esserci secondo la cultura imperante, e che invece da 5 anni rubo a ogni logica, per me, per vivere. Tempo in cui fare, dire, pensare: voglio costruire un contrafforte di contenimento per evitare che mi venga giù la terra da sotto la casa; voglio lavorare a un pontile di legno che ho in mente; studio per iniziare la nuova linea di sculture; e poi voglio scrivere quello che ho in mente, quando ce l’ho, come capita. Voglio cucinare molto, ho alcune idee grandiose per un paio di piatti di pesce. Voglio viaggiare, se posso, andare ancora dai miei. Tutto coi miei tempi, che a volte sono così veloci, a volte così rarefatti, a volte asincroni e sfilacciati. Ma sempre miei. Tempi, comportamenti, pratiche e scelte che io, a modo mio, col minor numero di condizionamenti possibile, ma con grande orgoglio… chiamo insistentemente, gioiosamente e caparbiamente: la mia vita. Ciao a tutti. Grazie.

 

(Ho creato una pagina TV sul mio blog, la vedete in alto, sul banner dove ci sono tutte le pagine. Ho pubblicato tutti i link alle puntate di Un’Altra Vita. Per chi volesse rivedersele. ciao!)

 

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Attenti

Filetto di dentice su pietra incandescente con salsa. Non c'entra nulla col post, ma è ottimo

Finisce sempre che mi occupo di cose di cui nessuno si interessa. E’ così da quando ero piccolo: quando tutti erano presi da un gioco, io mi distraevo, mi estraniavo, mi perdevo a lungo dietro una pietra infilata per terra, nei giardinetti della scuola, cercavo di dissotterrarla con un bastoncino; quando poi erano tutti stanchi, o facevano merenda, io che mi ero dimenticato di mangiare volevo giocare a pallone. Così oggi. Mentre tutti manifestano, io penso a un “seminario sull’attenzione”.

Due giorni fa davano in televisione “La Scuola”, film piuttosto datato, con Silvio Orlando. Insegnanti sull’orlo di una crisi di nervi, le loro vite, le loro speranze. Verso i due terzi del film Orlando si accorge che la collega Anna Galiena è innamorata di lui. Trasalisce, perché tutti lo sapevano, tranne lui. Non se n’era accorto. E’ l’ultimo giorno di scuola, troppo tardi. Chissà cosa avverrà a settembre. E’ in quel momento che il protagonista capisce il valore di molte cose, ed esclama: “Il prossimo anno voglio svolgere un seminario sull’attenzione!”.

Da quel momento, in questi giorni, ho rivisto molte cose della mia vita, e non solo della mia. Mi è parso di capire il valore dell’attenzione, dell’osservazione. Mi sono ricordato quando mi sono distratto, e anche quando sono stato attento. Ho rivisto le tante persone amate che non mi ascoltavano, che non mi “guardavano veramente”, e quando io non ho guardato loro.

Poi, oggi. Dovevo fare dei lavori da muratore. Ho impastato sabbia e cemento, mi sono messo a lavorare. Dovevo stuccare un muro, coprire gli anfratti tra le pietre. E’ un vecchio muro, la malta di qualche secolo fa è diventata sabbia ormai. Mentre passavo la cazzuola o usavo le dita, ho ho osservato tutto da vicino, da pochi centimetri. Quegli anfratti erano caverne, per i piccoli esseri animali. Mi sono chiesto se non stessi murando vivo uno dei gechi che vivono con me. Ho visto la fuga dei ragni, delle formiche, terrorizzate dalla mia enorme mano su di loro. Ho immaginato i loro discorsi: “Scappa Mario! Il Tipo sta cementando tutto, scappa!”. Mi sono interrotto. Non sapevo se proseguire. Poi ho sorriso. A loro sarà sembrato il ghigno del mostro che li scherniva….

L’attenzione. Ecco un buon punto di lavoro. Occorre essere molto attenti. Non perdersi una parola. Non perdersi uno sguardo. Occorre essere così attenti da vedere ciò che è infinitesimo, per immaginare il futuro. Non si può sapere dove saremo, che una foto grande, se non ci accorgiamo dove siamo, che è piccola. Tanto attenti che, se un’amica non è in forma o ha dei pensieri, noi dobbiamo capirlo. Anche se è lontana. Anche se non la vediamo. Con l’attenzione si vede l’invisibile. Se quello che c’è si vede, occorre che ce ne accorgiamo.

Più attenti. Ecco cosa ci serve di diventare. Poi, manifesteremo. Ma dopo.

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(Vil) Denaro

Giovedì 22 novembre, ore 21,15, quinta puntata di Un’Altra Vita, su RAI 5. Stavolta… il Denaro.

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Più duri. Più efficaci. Basta manifestare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sui movimenti di piazza di questi giorni. Un mio articolo sul Fatto Quotidiano.

Smettiamo di manifestare. Non diamogliela vinta

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Sogni…

Domani, giovedì 15 novembre, ore 21.15, su RAI 5

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Dopodomani…

Giovedì prossimo, dopodomani, ore 21,15, RAI 5, nuova puntata di “Un’Altra Vita“. Stavolta sulla manualità.

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Fuori

In mare era brutto, questi quattro giorni. Ultima uscita dell’anno, forse, con i Nomadi a Vela, il gruppo con cui organizzo le mie navigazioni. Era brutto, certo… Ma un giorno intero siamo riusciti a navigare: venti-trenta nodi, la barca che correva nel sole e nei colori del Golfo. Che meraviglia. Il resto del tempo abbiamo chiacchierato, mangiato pesce delizioso, fatto festa, dormito. Da soli. A parte un paio di barche qua e là, non c’era nessuno….

Tornando verso casa pensavo che questi giorni somigliano molto alle nostre vite, a quello che facciamo, a come lo facciamo. Piove, forse… c’è vento forte, forse… molte cose potrebbero consigliare di non fare, di desistere, di lasciar perdere… Forse. Oppure no. Oppure che piova o no, che le raffiche siano troppo forti o no, che sulla barca (piccola) ci stiamo in tanti, che non si possa neppure aprire un osteriggio perché diluvia… ecco, tutto questo non è né negativo né positivo, non è in grado di motivare o di dissuadere. Cosa accade a un gruppo di persone che va per mare col brutto tempo?

Accade che per lunghe ore del giorno quasi non ricordano che il tempo è brutto. Accade che preparano cene meravigliose, insieme. Accade che appena c’è uno spiraglio nella meteo, subito schizzano fuori dal porto, perché sono già lì, e allora fanno splendida vela, quasi scuffiano dalla felicità. Accade, soprattutto, che del brutto se ne fregano, perché se la nostra vita fosse decisa da fuori, saremmo spacciati.

Ho pensato che per questa settimana potremmo fare un esercizio: potremmo provare a immaginare che il “fuori” non esista. Che quel fuori è il teatro dove deve agire il nostro “dentro”. Per modificarlo, quel fuori, piegarlo, plasmarlo, forgiarlo, indirizzarlo. Per dirgli che non passerà, che non c’è solo lui, che tra noi e lui, lui è quello che conta di meno. Per non farci contagiare. Non è una grande epoca, vista da “fuori”. Forse da “dentro” è migliore. Buona settimana a tutti.

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