Ricomincio a scrivere

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Da qui

Tornare a casa, lupo solitario che rivà nella tana, in viaggio sempre, qui come per le rotte mediterranee, a braccetto con i mostri e gli angeli, inevitabilmente, mai al riparo dalle emozioni, mai dietro il separè dell’irrealtà. Ritrovare il Fienile dell’Anima, il luogo dove si deve essere, stare, per poi riandare, unico luogo a cui tornare. Ogni uomo deve avere una bitta a cui dar volta con la cima del senso. Per non naufragare.

Metà del romanzo, ed oltre, da costruire. E ora c’è una data, che cambia tutto. La seconda metà, quella più difficile. Nella prima i personaggi ti rincorrono, faticano a starti dietro. Nella seconda tu corri dietro a loro, scompostamente, difficilmente, trappole narrative che si moltiplicano, rischio di perdersi. I personaggi che hai creato, che pure sono appesi al filo della tua penna, vivono di vita propria, scelgono inopinatamente, differentemente. Cattivi che si rivelano migliori, buoni che si rivelano orribili. Amore che genera disamore, vita che genera morte. Sogni. Che romanzo scrive un autore? Quello che i suoi personaggi decidono. i suoi infiniti sé a confronto. Difficile spiegare. Dare vita impone il rispetto della vita data. Anche perché non c’è alternativa.

Come i monaci. Ogni mattina alle 6.00. Ogni giorno fino a sole alto, quando si perde tutto, quando la spossatezza intorpidisce la visione. Pieno di errori, perché l’alba è il tempo dell’immaginazione e dell’imperfezione. E poi ogni pomeriggio, quando non sapresti creare neppure un’immagine, ma sai correggere, smontare, rimontare. Lo scrittore immagina al mattino, aggiusta nel pomeriggio. Architetto e artigiano. Poi passeggia nei boschi, costruisce oggetti, ripara. E la sera, di fronte al fuoco, nella solitudine assoluta, nel silenzio inviolato, patisce, accarezza la stanchezza a volte affranta, a volte esaltata, del procreatore. Scrivere è fare l’amore, tantrica e saltuaria eiaculazione d’inchiostro.

In mare a lungo, mesi, per anni. Nella cristallizzata perfezione di questo luogo che ho costruito, a lungo anche qui. Molteplicità che non deve negarsi, non deve nascondersi: eccolo il privilegio di cui essere orgogliosi. Qui nascono le immagini, i pensieri. Qui nascono i personaggi. Qui si traccia il filo sottile delle storie. A seguirlo, non si va verso l’autore, tuttavia. Ci si immerge nell’abisso del proprio mondo negato.

Ho ricominciato a scrivere.

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11 pensieri su “Ricomincio a scrivere

  1. Come sempre alcune parole rubano l’attenzione.
    Saranno speciali loro stesse oppure le leggi alla luce del tuo tempo.
    “Ogni uomo deve avere una bitta a cui dar volta con la cima del senso”.
    Ecco.
    Se questa bitta è un’altra persona allora il discorso è completo.
    Il senso è quello che ti senti dentro. Senso fatto di tante cose. Non tutte bellissime.
    Ma non manca niente.
    Ci vuole tempo. Si. E tanto.
    Ci vuole pazienza. Certo. Ed in quantità industriali.
    E ci vuole forza. Ecco. Questo potrebbe essere un problema.
    Ma non lo credo.

  2. Simo, pensavo all’imprendiorialità impegnativa che c’è in tutto questo. E mi viene da considerare che in fondo “gestivi” prima di scalare la marcia e “gestisci” anche ora. Secondo me (mi permetto), hai comunque il dna del leader, ..espressione un pò anni ’80, ma efficace. Però ora gestisci la tua vita e sei imprenditore della qualità del tuo tempo e questo è gradioso e rischioso. Vedrai, l’abbraccio della tua bella casa, accoglierà meglio anche i tuoi personaggi. Loro giocano..si nascondono un pò.. chi in giardino, chi dietro al divano. Qualcuno dispettoso sta dando fastidio ai tuoi “gatti liberi”. Ma si faranno trovare presto. Nascono da una tua scelta di amore estremo verso la vita e sanno bene che c’è una data da rispettare. Sono creativi ed intelligenti, quindi, se guardi bene, sono già lì.

    • Cara Raffaella, io vorrei uscire da queste categorie, se possibile. Stabilire che qualcuno sia leader di qualcosa o follower di altro lo trovo in qualche modo poco utile. Ma non perché rifiuti definizioni vetero anni Ottanta, ma perché parecchi anni fa ho compreso che occorre guidare il proprio destino e basta, in quanto non farlo è correo, complice, fiancheggiatore dei nostri giorni peggiori. Ciò che tu mi rappresenti è per me un grande riscontro, in cui mi rivedo perfettamente, e genera in me un notevole orgoglio. Se in questi otto anni io sono maggiormente riuscito a guidare la mia storia, almeno per quanto mi è dato, ciò non fa di me un leader ma un uomo responsabile. I giorni non sono andati via invano, certo; i pensieri non sono stati sprecati su argomenti inessenziali, certo; le relazioni non sono state appoggiate sulla circostanza, certo; i luoghi dove ho trascorso il mio tempo non erano gli alienati luoghi della nostra contemporanea inconsistenza, certo; le occupazioni non sono state più quelle inutili di una vita stereotipata, certo; ciò che ne ho tratto somiglia alla mia vita autentica, certo. Se poi questo lo vogliamo chiamare in un modo o nell’altro, va bene qualunque definizione.

      Aggiungo anche che, ribaltando quel che tu scrivi, trovo demenziale, colpevole, profondamente inadeguato e del tutto ingiusto che un uomo o una donna senzienti, fortunati come molti di noi sono, non si occupino con enorme concentrazione, enorme impegno, mettendo tutte le proprie risorse, presidiando, della propria vita, di ciò che amano, di ciò che potrebbero fare. Anche qui, chiamiamolo come vogliamo. Non conta molto il nome che diamo a ciò che facciamo, ma ciò che facciamo, appunto. Lasciar correre, sprecare, lasciare che tutto se ne vada come vuole, prescindendo dunque dall’azione che noi possiamo imprimere al nostro destino, è semplicemente un grave errore di consapevolezza e di responsabilità. Io cerco di evitare tutto questo. Un saluto!

  3. Ciao, perché non usi spesso il soggetto ed il verbo nelle frasi che costituiscono i tuoi post, qui? Molte frasi sembrano sparire nel vuoto, mancanti di qualcosa: mi destano qualche domanda, anzi, mi correggo, qualche dubbio, che vorrei condividere, al di là della libertà stilistica, che ciascuno ha, soprattutto nei propri blog, di scrivere come e quanto gli piace.
    Sembra che tu non abbia più voglia di incidere nel mondo, di lasciare un segno, sembra che attraverso la tua scrittura evanescente tu voglia ritirarti dal mondo. Ho riletto il post e mi sono riletto anche quelli precedenti, ma l’evanescenza ritorna. Pongo allora un quesito: quanto questo modo di scrivere è sintomatico di altro malessere? Quanto è più facile scrivere senza soggetti e verbi, ma solo con sostantivi ed aggettivi sparsi? Quanto questa scelta – se è una scelta – impoverisce il discorso?
    Grazie

    • Eccomi Fulvio, scusa il ritardo. La tua domanda è molto interessante, poiché poggia sulla scrittura e sulla sua capacità o meno di “funzionare” come media della comunicazione. Le cose che scrivo in questo spazio, contrariamente a ciò che scrivo sul Fatto Quotidiano o sui social network o peggio negli articoli sulle riviste e nei miei libri, godono della totale libertà tematica ed espressiva. Intendo dire che qui, con fatica, cerco da anni di costruire uno zibaldone di immagini, concetti, informazioni, emozioni, pensieri, che rappresentino la mia sensibilità. Hai visto che molte persone sono scomparse da qui: non erano interessati alla comunicazione vera e profonda, quella senza veli e senza infingimenti. Volevano da me solo una cosa: che li facessi sognare per sempre (cioè per tutta la vita ma senza fare nulla di concreto per realizzarla) un’esistenza diversa, cioè che cambiare vita fosse possibile. Volevano usarmi, come si usa un tram, da qui a lì, salire e scendere, per poi prendere un altro tram, che fosse un altro scrittore, un altro uomo capace di ispirare, un’altra metafora per compiere i giorni vuoti e mai definibili della loro inconsistenza. Ci vado un po’ duro perché credo davvero che la forma contemporanea più grave e dannosa della comunicazione sociale su internet sia proprio questo fare il surf, questo galleggiare da un video a un altro, da una citazione di qualche santone a un articolo di giornale non confermato, da un brano di televisione a un gossip. Tramite questi frammenti di un discorso esistenziale mai compiuto, la gente si droga, si anestetizza. Se mai v’è stato uno strumento di potere morbido, perfino piacevole, che i più stupidi scambiano per libertà espressiva, con cui governare menti e coscienze, cloroformizzare il pensiero unico depotenziando l’azione, beh quello è internet.

      In tutto ciò io, che tendo a non adeguarmi, so esattamente cosa dovrei fare per aumentare i click sul mio sito, per aumentare la readership, per rendere il mio blog un killer-site di quelli che macinano contatti, etc etc. ma come avrai compreso, non ho fatto e non faccio nulla di tutto ciò. Preferisco il buon ascolto e l’eventuale empatia di uno alla distratta awareness presso molti. E’ quel che sto facendo anche col romanzo in lavorazione: non si attiene a nessuna delle dieci regole base della scrittura moderna, quelle che gli scrittori da classifica seguono con millimetrica precisione (i libri non più lunghi di tanto, la riduzione delle difficoltà di lettura, l’assenza di terminologie tecniche eccessive, la collocazione dell’azione nell’epoca attuale per evitare salti temporali in mondi arcani, l’introduzione di storielle d’amore, etc etc).

      Ciò che a me preme è raccontare una storia. Mi sono “liberato” per fare questo. E la storia che voglio raccontare è articolata, cangiante, meticcia, spezzata, a volte inafferrabile, a tratti difficile da interpretare. Come potrei, dunque, essendo uno sperimentatore convinto (nessun mio romanzo somiglia al precedente, sto sperimentando, lo farò per tutta la vita), usare solo una macchina per percorrere tutte le vie del mondo? Potrei con una Ferrari fare il giro del pianeta, visto che molte piste saranno fangose, imbattute, piene di buche, piene di interruzioni e pericoli? E quanto ci metterei, e con che esito, a percorrere i tratti piani e ben asfaltati, dritti e veloci, con una campagnola sferragliante? Uso macchine diverse per percorsi diversi, bisturi di diversa dimensione per operazioni dissimili tra loro, coltelli da sushi per fare strisce precise di buon pesce fresco che deve essere bello da vedere e cutter tozzi e pesanti per il battuto di spezie.

      La lingua, lo stile, le parole, la sintassi, la prosodia, la retorica, e tutti i numerosi altri strumenti della scrittura, che ho studiato all’università e continuo a studiare ed affinare da una vita, sono gli attrezzi efficaci e pericolosi della grande avventura della scrittura, e vanno usati a ragion veduta, con cognizione di senso.

      Se tu vedi a volte che la mia scrittura si liricizza, si fa timidamente ma anche convintamente poetica, tenta di cogliere l’inafferrabile con la creazione di immagini, fotografie invece di fotogrammi, dunque apparentemente slegate, solitarie, autonome, e se vedi dunque che il legame tra quelle immagini non lo faccio io con la sintassi e l’organizzazione del discorso ma devi farlo tu con l’immaginazione e la musica che sai rintracciare tra le mie parole, e soprattutto dentro di te, beh, quella è un’esperienza di comunicazione. Un momento di grande chiamata alla comprensione, in cui non faccio nulla per renderti facile qualcosa, ma faccio di tutto per renderlo possibile. Il che implica necessariamente il tuo impegno, la tua partecipazione.

      Il punto Fulvio, è che quando una persona (più e prima che uno scrittore) decide di non dirsi fandonie ed è disposto ad andare giù dritto fino al punto, che sia bello, che sia brutto, che sia doloroso, che sia rassicurante… non conta. Conta che si squarci il velo su ambiti su cui la descrizione (soggetto, predicato, complemento) non è sempre il miglior metodo possibile. Descrivere l’indescrivibile non è facile con le descrizioni. E forse non è neppure utile.

      Sai cosa dovrei fare per evitare imbarazzi e per aumentare follower etc? Video di trenta secondi; brani di trecento caratteri; foto e cartelli da poter condividere. Cioè, parafrasando la nota battuta di un grande film: “scrivere quello che l’italiano medio può leggere e comprendere nel tempo di una cacata media”. Che meravigliosa e icastica definizione!

      Beh, io questo, come avrai compreso, non lo faccio. A me interessa che tu scavi nella tua comprensione per cercare di comprendere la mia espressione. Che poi, senza tanti giri di parole, è quello che tenta di fare l’arte da sempre.

      grazie per avermi fatto riflettere su queste cose. ciao!

  4. Sei un artista a tutti gli effetti, scrivere è far l’ amore…
    Hai le idee chiare e riesci a trasmettere entusiasmo per ciò che comunichi. il tuo impegno ed i tuoi sforzi ti ripagano in serenità e gioia.
    D’ altro canto hai scalato marcia ormai da anni…
    Chapeau
    Vale

    • grazie valentino. grazie barbara. è bellissimo pagare tutto e farlo con l’onesto impegno di chi crede in ciò che fa. l’impegno rende liberi.

  5. Un nomade, a tratti sedentario, quindi un semi-nomade, forse un semi-dio, un “socievole” lupo grigio e solitario.
    Questa sì che è libertà!

    Una “socialità” calibrata sulle proprie esigenze, che smette di esistere nel momento in cui lo si decide autonomamente, senza “se” e senza “ma”, che si ammutolisce, che cammina in punta di piedi per non disturbare… Aprirsi al mondo e poi rintanarsi, a proprio piacimento, senza chiedere permessi o ferie, senza doversi scusare, senza doversi giustificare…Una stanza tutta per sé. Un privilegio per pochi, forse solo per quelli che ancora io mi ostino a definire “artisti”.
    Il momento della creazione è un momento importante e nessuno oserebbe rompere quel silenzio, quella concentrazione. Il “succo” che inonderà quelle pagine vergini, sarà poi restituito a coloro i quali non avranno atteso invano. A quel punto, e solo allora, l’ opera verrà alla luce, e si riverserà in un mondo che forse non ha voluto, forse non ha potuto fermarsi. In quel momento si potrà essere già molto lontani, si potrà, volendo, aver reciso il cordone ombelicale e la “creatura” sarà lasciata a sua volta libera e potrà essere consumata liberamente e in qualsiasi momento della giornata.
    Nel mio presente, poco artistico, il mio scopo dovrebbe essere quello di cercare un posto che rappresenti anche me, un luogo, tra i tanti, e che riesca a dare forma a un caos primordiale, ma attivo e “acceso”, a quell’indecifrabile, caotico, indistinto e sicuramente imperfetto “io”.
    E per estremo paradosso, quel luogo è un non-luogo.
    Quell’approdo sicuro è per me, per ora, solo dentro a quelle pagine vergate nel silenzio e nella solitudine alle quali esprimo, ogni giorno, la mia vera e autentica gratitudine e il mio infinito rispetto.

  6. Sarà anche difficile da spiegare ma ci sei riuscito benissimo. Colpita al cuore dalla frase: ” Dare vita impone il rispetto della vita data “. Importante tenerlo sempre a mente, in ogni campo. Buon lavoro Simone, attendiamo con trepidazione!

  7. Ben tornato Simone! Apprezzo la disciplina zen che ti imponi per perseguire i tuoi obiettivi, è un grande insegnamento per me e una delle cose più difficili da mettere in pratica. Bello saperti di nuovo qui, a terra.

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