Nessuna anomalia

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Attenti alle vele, ad esempio, navigheremo…

La cosa rassicurante della vita è che tutto va sempre come deve andare. Mai visto un montanaro vero, che ami di cuore le sue vette, andare a stabilirsi, sedentario, in pianura, se non per scelte contraddittorie che lui solo potrà rivelarci tra le lacrime. Tutto ci rappresenta, e disegna nel tumulto dei nostri salvi e perduti movimenti il profilo del volto che realmente abbiamo. Passeggiando sotto la pioggia, mentre facevo la spesa, ho ricordato, poco fa, questa regola fondamentale della vita, I Principio della Termodinamica Esistenziale. E mi sono rassicurato.

Mai paura, mai paura, e mai pre-occupazione. Non servono. Se siamo innovatori innoveremo. Se siamo sedentari non andremo. Accadrà, se è così che deve andare. Se sogniamo per finta c’illuderemo, se invece progettiamo suderemo. Pensieri autentici generano azioni conseguenti. E non vale dire: “non ero io”. Ero io eccome, per come anche sono. Con l’istinto e la motivazione di restare, non saremmo andati via.

Forse dovremmo prendere definitiva coscienza di ciò che siamo, senza inutili pentimenti o uso improprio del miraggio. Quadrati, non moriremo tondi, ispirati non arrederemo banalmente il nostro mondo, avvinti non ci distrarremo. Attenti, non ci stupiremo a cose fatte. Amorevoli, non trascureremo. Soli, parleremo sempre con noi stessi.

Nessun accadimento è un’anomalia.

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Nemici doppi

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Chi è quell’ombra, l’altro uomo, l’altra donna, che pure siamo?

Il nemico è l’uomo nero, quello che ci ha intortati, turlupinati, truffati, danneggiati, è la causa di come stiamo, del nostro male, della fatica che dobbiamo fare per riprenderci. Lui magari non sa neanche di cosa stiamo parlando, e la sua visione su fatti e circostanze è del tutto opposta. Ma non è importante questo. Lui è il nemico, la causa. Noi lo sappiamo. Se lui non fosse mai esistito saremmo felici.

Poi però c’è il nemico del nostro nemico, che siamo noi, il nostro peggior nemico.

Noi lo individuiamo (generalmente scegliamo un genitore, un collega, un parente, un amico, uno a portata di mano, facile da identificare, di cui sappiamo almeno qualcosa), noi lo riteniamo responsabile di tutto. Noi ci sentiamo traditi (rispetto a quali illusioni precedenti, elaborate da chi?). Noi gli attribuiamo malefatte selezionate con cura, a volte perfino difficili da spiegare, che dunque necessitano molte elucubrazioni per essere illustrate. Finalmente possiamo evitare di darci colpe, di chiederci dove abbiamo deragliato, perché c’è lui, su cui possiamo far convergere ogni strale. Noi siamo innocenti, vittime, lui è colpevole, il carnefice.

Ma il nemico non è lui. Nemici suoi e nostri, dunque nemici doppi, siamo noi. Ogni cosa detta siamo noi ad averla voluta dire o intendere così, potevamo scegliere, opporre altri valori, opporre altre decisioni, ma non lo abbiamo fatto, perché noi, che ci piaccia o no, siamo anche in quel modo. Ogni cosa fatta abbiamo evitato di vederla com’era, immaginandola premessa di altro, conseguenza di altro, ma noi vogliamo vedere alcune cose, perché siamo così, dura da ammettere. Ogni cosa che NON abbiamo fatto, che non abbiamo intuito, l’abbiamo evitata perché lui ci ha offuscati, ingannati, ma la verità è che non l’abbiamo fatta e intuita perché non volevamo. Ogni cosa scelta sotto la nostra libertà, rivelatrice puntuale di ciò che siamo realmente (giacché ciò che non siamo, noi non faremmo mai, ma ciò che facciamo SIAMO e restiamo), l’attribuiamo all’ipnosi con cui lui ci ha irretiti, al calcolo diabolico che lui ha ordito ai nostri danni privandoci della possibilità di scegliere, per i suoi biechi interessi. Senza di lui mai e poi mai avremmo detto, pensato, fatto ciò che abbiamo fatto e pensato. Perché noi siamo diversi da come ci siamo comportati. Che stronzo, bieco, infido e bastardo il nostro nemico…

Siamo stati legati e torturati, o siamo stati lì scegliendo liberamente? Siamo stati picchiati, siamo stati minacciati, abbiamo agito senza alternative? Abbiamo dovuto scegliere in un istante, a rischio d’errore, o abbiamo avuto mesi per evitare o confermare? Non abbiamo avuto nulla in cambio, oppure abbiamo avuto cose utili, utilissime, CHE DESIDERAVAMO AUTENTICAMENTE, e tante anche, di cui abbiamo goduto ampiamente prima che lui si rivelasse il nemico, e di cui godiamo ancora oggi senza neppure ammetterlo? Non sarà che quel nemico, nemico non è, che anzi potrebbe darci ancora molto, se solo la nostra incapacità di essere consapevoli ce lo consentisse? Non sarà che il nostro nemico ci rivela per quello che (anche) siamo, solo che noi, obnubilati dall’odio (per le nostre mancate scelte!), non riusciamo ad ammetterlo? Ad accettarci diversi da come ci piace pensarci?

(pensieri in margine al concetto di Nemico, uno dei grandi temi del romanzo che sto scrivendo)

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Presso Nessuna Azienda

 

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Dipingendo devo essermi spruzzato di vernice gli occhiali. Grazie Linkedin!

L’altro giorno apro il computer e mi ritrovo una valanga di email. Via Linkedin, il social network per “manàgeri” (come li chiamo io, facendo il verso a Stefano Benni) un mucchio di sconosciuti si complimentava per il mio anniversario lavorativo. Chi fa parte del network aveva ricevuto più o meno questa notifica:

Congratulate Simone Perotti on his work anniversary

Simone Perotti is still working at Nessuna Azienda

I cosiddetti “advise” li emette un freddo calcolatore posizionato in chissà quale landa desolata negli USA, una di quelle perdute linee di confine tra l’American Dream e l’American Nightmare. Li elabora con frasi prefissate a cui aggiunge il nome dell’azienda che tu inserisci sul tuo profilo. Come tutti i servi sciocchi, il sistema non prevede anomalie, e non puoi scrivere che hai smesso di lavorare. Otto anni fa scrissi “Nessuna Azienda”.  E già allora Linkedin mandò una notifica con efficiente tempestività: “Congratulate Simone Perotti on the new job. He is now working at Nessuna Azienda. Risate.

Cosa non dissimile accadde aderendo a Facebook. Misi tra le informazioni che mi chiedeva che ero fidanzato, poi ci ripensai e per privacy la tolsi. Facebook, pensando a una novità nella mia situazione, scrisse una notifica urbi et orbi: “Simone Perotti è ora sentimentalmente libero”. Caos. Che tuttavia mi fu facile spiegare: non avevo intenzione di lasciare nessuno, solo che Facebook era tonto, non prevedeva l’ipotesi di togliere un’informazione, ma solo di cambiarla. Da “impegnato” a “libero”Capita anche con le assicurazioni on line e con ogni altro genere di anagrafica: “Che lavoro fai?” Io scorro la tendina e resto sempre interdetto tra “disoccupato” e “altro”. Due risposte possibili, ma entrambe sbagliate o imprecise. Questi format prefissati sono l’epifenomeno della ristrettezza di vedute di un certo mondo. O almeno il simbolo della sua inattualità.

Per superare vecchi confini serve un po’ di fantasia. Quando l’establishment non prevede l’ipotesi che percorriamo noi, la faccenda si fa sempre interessante. In effetti, se mi accorgo che ciò che penso e faccio è già “previsto” e incasellato da qualcuno, provo sempre fastidio, e ho sempre la sensazione di stare sbagliando. Non nascondo che quando le mie scelte mandano in vacca questi cervelloni del marketing (me li ricordo, te li raccomando…) io provo un po’ di soddisfazione. Imbacuccato per il freddo, in questo fienile di pietra, sorrido.

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Un sorriso prima di morire

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Dentex Ipercubicus – Rigore nella preparazione del piano. Poi, andare.

Essere in movimento deve sovrastare la paura. Il gusto di sentirsi in evoluzione, intendo. Mai fermi, mai fermi, e mai paura. Non quella che inchioda, perlomeno. E “in movimento” non vuol dire ipercinesi, naturalmente. Conosco persone che saltano, fanno caos, dichiarano, grandi sorrisi… Tutte cazzate. Eruzioni di una frenesia. Gratti, e sotto non c’è niente. Le considero un danno, perché qualcuno che ci crede, per fragilità magari, lo trovano sempre. No, io parlo di non impantanarsi nello “space between” tra paura e inerzia. Perché, non so se avete notato, la vita va.

In questi ultimi mesi ho affrontato cose grosse, che mi terrorizzavano. Lo faccio ancora, ma molto meno. Con coraggio, piano piano, non senza disperarmi, non senza temere, non senza l’istinto di mollare, sono andato avanti. E sono qui. Non mi ha sdraiato fronteggiare i miei mostri. E ora si procede. Decisioni che diventano realtà. Ho delle certezze? Naturalmente no. Ma neppure parto sconfitto. Ogni partenza è buona, meglio se senza una conclusione certa. Cosa accadrà? Un mucchio di cose belle. E chi lo dice? Io. Io è solo me, dunque niente di infallibile, ma non è neanche “nessuno”.

Ora io già so che questa cosa, che mi ha fatto paura, che ho scalpellato con pazienza e che adesso faccio, è una di quelle a cui penserò con un sorriso prima di morire. Ecco la faccenda. Accumulare immagini così, quelle dove c’eravamo, dove abbiamo tentato, dove c’era qualche buon motivo per non muoversi, e invece siamo andati, perché abbiamo visto (sentito…) una ragione in più per farlo. Non ci si muove senza un buon motivo. E neppure avendo solo certezze. All’inizio c’è un buon sogno. In mezzo c’è il coraggio. Alla fine un sorriso.

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Comporre

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Ciò che occorre trovare in questa immagine, ciò che la definisce e che dobbiamo descrivere, è ciò che non riusciamo a vedere

Scrivere è come immergersi, apnea in cui è necessario uscire da sé, perché il sé consuma ossigeno, invoca l’aria, distoglie dal mondo delle profondità, pretende che il corpo faccia ciò che lui impone, mentre comporre è fingersi altri, altri sé, con altri respiri, altri battiti del cuore, dunque vite parallele, per questo si può fare di tutto nel rumore e nella promiscuità, ma non comporre, non creare, che è condizione vagamente ipnotica, a tratti tragica, quando funziona estatica, che annulla il tempo, fa scomparire lo spazio, modifica luce e ombra, rende circolare ciò che è spezzato, ricongiunge attraverso lo straniamento, come se per capire fosse necessario abbandonare, spostarsi in un altrove che consente di vedere, perché l’angolo fa la visuale, lo scorcio il panorama, almeno tanto quanto il contrario, dunque per perdere luoghi servono luoghi, per i pensieri un pensiero, per uno stato una circostanza, che vuol dire un gran caos, e sarebbe bello se ci fosse una formula, se si potesse fare click compiutamente sulle cose raffinate, sofisticate (su quelle semplici, meccaniche [anche belle ci mancherebbe] l’interruttore c’è) per potervi accedere a comando, ma non c’è, anzi, ogni cosa intensa, che si anima di “un’altra vita”, in cui si tocca il cielo, si procede oltre ogni arcobaleno, si supera il limite di sé, onanismo esistenziale e basta, è il risultato di un processo, un percorso, segni che si aggiungono a comporre una figura, note che si affastellano alla volta di una melodia, attimi che disegnano un’epoca, gesti che provano a manifestare ciò che le parole non spiegano, e la sua metafora, un libro, quella rappresentazione straordinaria della realtà in cui riusciamo a emozionarci anche se non siamo lì, non fa differenza, anzi, ne è l’eruzione, qualcosa di più vero della realtà, solo che non è reale, o forse sì, un filo nero che corre, corre, corre, si dipana su una pagina bianca, tracciato per anni, ogni giorno, ogni giorno, e che non si può interrompere per non dissiparne la magia, e insegue immagini insensate, idee, sogni… ed è finito.

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