Sono stati bravi…

Li vediamo arrivare per caso, gettando un’occhiata sul mare immobile di questa splendida giornata a Kos, Grecia orientale. Li vediamo come si scorge per pura fatalità un tronco a pelo d’acqua. Come fossero un oggetto. Invece sono esseri umani. Remano lentamente, non ce la fanno più. Hanno un motorino elettrico che deve averli abbandonati da molte ore. Uno di loro mi sorride. Gli dico “Welcome!” lui mi ringrazia con la mano sul cuore. Gli faccio segno che l’entrata del porto è dalla parte opposta, sul lato nord. Restano incerti, faticano a dirigere la prua, caracollano in mare.

Prendiamo una cima, per gettargliela dal molo e trainarli, poi arriva un gommone del porto. Sono in salvo. Li guardo arrivare a terra. Forse hanno controllato la meteorologia, hanno calcolato le correnti, il vento. A bordo sono il giusto numero per un piccolo gommone. Hanno navigato bene, sono stati bravi! Faccio il tifo per loro, come se fossi io a sbarcare. Ce l’hanno fatta. Un misto di gioia, lacrime e commozione. Ce l’hanno fatta, per Dio, almeno loro ce l’hanno fatta

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3 pensieri su “Sono stati bravi…

  1. Queste persone meritano rispetto, sono persone che danno del TU alla VITA, scappano dalla guerra,dalla povertà e rischiano la pelle, non si preoccupano di quello che lasciano e vanno incontro all’ignoto. Da questa parte dell’ Occidente ,costantemente sulla difensiva ,li accogliamo con fastidio, in un primo momento li salviamo profondendo anche grande sforzo e dimostrando grande solidarietà , ma poi li consideriamo un problema, una questione economica. Non riconosciamo più in loro il valore umano ,ma come fossero persone di serie B , li riteniamo ingombranti, di troppo. Ma tra loro e i burocrati amministrativi, tra loro e i governanti demagoghi , tra loro e i dirigenti ecclesiastici , tra loro e i servi dell’informazione di Stato, tra loro e i padroni dell’ordine pubblico chi è che può definirsi vero Uomo ?

  2. Ci interessano le code dei problemi.
    Le parti più emozionanti.
    Corpi in mare fanno effetto. Specie se di bambini.
    Ma che questo Mondo sia sintatticamente sbagliato non lo dice nessuno.
    Del consumo abnorme di ricchezze globali come acqua ed energia da parte di un minima percentuale di Umanità ci sfugge.
    Quanto consuma il Nord ?
    E il suo consumo alle spese di chi è ?
    Certo. Quello che sta avvenendo per mare e per terra è sconvolgente.
    Ma sulle sue origini storiche, economiche e sociali chi ci dice qualcosa ?
    Oppure dobbiamo sempre, solo, provare orrore e rabbia davanti a certe immagini ?

  3. E’ quello che ho pensato leggendo la testimonianza di Awas, immigrato somalo e
    che vorrei condividere con voi. Non sono solo “bravi”, sono degli “eroi”. Gli eroi di questa nostra disperata era “moderna”, perché la definizione da Wikipedia è questa: Eroe è colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune.

    …”Sono partito dalla Somalia e sono arrivato a Lampedusa. E’ stato un viaggio lungo, in cui ho rischiato la vita, ma alla fine ce l’ho fatta.
    Non conoscevo la strada, quindi ho pagato i trafficanti, quelli che dovrebbero aiutarti e dirti come arrivare, ma che spesso, però, non ti danno le giuste informazioni. Mi hanno portato in Libia dal Sudan. Tra il Sudan e la Libia, però, c’è un deserto e lì ho rischiato la vita.
    Nel deserto ho trascorso 24 giorni. Ci hanno dato da bere ed anche da mangiare per quattro giorni, dicendoci che saremmo arrivati in Libia in quattro giorni. Ma non è stato così: è finito tutto dopo 24 giorni.
    Eravamo undici ragazzi somali e nove sono morti. Siamo rimasti in due! Eravamo 150 persone di Paesi diversi. La maggior parte di loro è morta.
    La barca era a Tripoli. Si trattava di una barca di circa 4 metri per 45 persone: bambini, donne, anziani…
    Il viaggio, grazie a Dio è stato facile, ma non sapevamo che lo fosse. I trafficanti che abbiamo pagato ci hanno detto di guidare noi la barca.
    Senza sapere come arrivare a Lampedusa e dove fosse Lampedusa. Essendo sera, ci hanno detto: “Dovete guardare quella stella”. Abbiamo chiesto quanto sarebbe durato il nostro viaggio e ci hanno risposto: “Venti, ventidue ore”. “Ma in ventidue ore non è sempre sera, c’è il giorno, e la stella non rimane lì per noi!” E loro: “Dovete andare sempre dritti per Lampedusa”. E noi ci siamo chiesti: “Siamo pronti a morire o a sopravvivere?”

    Nei dieci giorni passati a Lampedusa ero molto, molto contento. I carabinieri, i militari, la polizia, le persone che sono lì ti trattano bene: ti tanno medicine, ti controllano, ti danno da mangiare, un letto, tutto. Era tutto bellissimo. Io ero contento e ringraziavo Dio, perché quello era ciò che mi aspettavo, per quello avevo rischiato la vita e volevo vivere così. Mi dicevo: “La vita è migliore così: con una persona che pensa a te, che ti vuole aiutare, che ti dà la mano, ti stringe”. Ma una volta che sono uscito da Lampedusa è finito tutto: le persone che mi volevano bene sono rimaste nell’isola.
    A Lampedusa ci sono rimasto per dieci giorni, ho chiesto asilo e mi hanno portato a Roma. Sono andato in un centro di accoglienza e, appena ho ottenuto i documenti, mi hanno detto: “Roma è grande! L’Italia è grande!”. E quella è stata davvero – non so come dire – una delusione.

    D. – Se tu potessi, cosa gli chiederesti?

    Sono fuggito dalla SomaliapPerché il gruppo al Shabab, che fa parte di Al Qaeda, voleva uccidermi. Avevo un negozio dove vendevo dvd e cd e per loro era vietato. Mi hanno detto, quindi, di chiudere il negozio. Io però ho detto: “Non posso chiuderlo, perché questo è il mio lavoro”. E allora loro hanno risposto: “Ti uccidiamo, perché vai contro le nostre regole e non puoi stare qui con noi”. Sono scappato. Ho perso tutto: amici, amore, famiglia, tutto.

    Se fossi rimasto in Somalia, non avrei potuto chiudere il negozio, perché era l’unico lavoro. Ma soprattutto non sapevo che il viaggio per arrivare in Italia sarebbe stato così difficile e rischioso. Se l’avessi saputo, sarei rimasto in Africa, in un altro Paese. Non sapevo che la vita in Italia sarebbe stata così difficile.

    Nel nostro Paese, in Africa, pensiamo che in Europa ci siano tante cose. La parola “Europa” per noi è qualcosa di grande. “Se andiamo in Europa troviamo tutto: troviamo lavoro e così via” Invece no: è un sogno.

    Molti ci avvertono ma ma non ci crediamo. Per esempio, io se oggi chiamo mio fratello e gli dico: “Fratello, si rischia la vita, è meglio che tu vada in un altro Paese!”. Lui risponde: “Ma anche tu ci vivi! Che ci fai lì? Se lì non c’è niente, perché stai lì? Vieni tu qui!”
    Se torno, rischio di nuovo la vita. Qui non c’è sistema, ma non rischio la vita.

    Se potessi avvisarli, direi che quello del venire in Italia è un sogno. “Levatevelo dalla testa, perché in Italia, e non solo in Italia, in Europa, non c’è niente”. Direi loro di cercare un’altra vita in un altro Paese, dove poter vivere, finché nel nostro Paese non ci sia la pace. Quando nel nostro Paese ci sarà la pace, tutti noi torneremo. La Somalia, infatti, è nel nostro cuore.”

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