“Il Quoziente Umano” su LA7

Intervistato a Omnibus, di LA7, stamattina, per presentare “Il Quoziente Umano” e poi parlare di Mediterranea, di ambiente, di identità, di scelte.

Buona visione.

Cliccate sulla foto oppure QUI per vedere l’intervista.

 

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Mediterranea su RAI 3 e RaiNews24

Una barca insolita, l’ha definita Roberto Alajmo nel suo TG Mediterraneo, su RAI 3, ieri l’altro.
Insolita… Che curiosa definizione. Non solita. Non la solita barca. Non le solite persone. Dunque, per estensione del concetto: diversi.

Nell’epoca dell’omologazione, “diversità” è una parola che si spoglia di tutto il suo alone “anomalo” (non inseribile nel “nomos”, cioè nella regola) e si veste di qualcosa di proprio. Magari sono solo quattro stracci, una camicia strappata, un paio di braghette tutte lise, però sono i propri abiti. Qualcosa capace di identificare.
Non cosa di poco conto…

A ogni modo, ecco il servizio su Mediterranea.
Buona visione

 

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La “Bandiera per il Mediterraneo” su Rai1 – Linea Blu

In collegamento dall’Ultima Thule per lanciare l’iniziativa.
Il Mediterraneo non ha una bandiera. E allora disegniamola. Una bandiera per unire le diversità. Le bandiere sono belle, ma a volte sono pericolose. Disegniamone allora una in cui riconoscere la propria identità, capace di accogliere e dialogare, per cui valga sempre la pena di vivere, mai di morire.

Qui il servizio su Rai 1 dal minuto 20’15”:
https://www.raiplay.it/video/2020/05/lineablu—ritorno-al-mare-2b863e39-4451-49dd-8a0b-29405bffd280.html

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Su AmbienteBio

ambientebio.it

Bella intervista. Un gruppo di persone che si impegnano per una visione Eco di ogni componente della nostra vita, dalla permacultura ai viaggi, dalla società ai rimedi naturali, al cibo.

Mi onora che da varie parti, negli anni, molti esponenti di questo mondo si sentano affini alla mia ricerca di un Nuovo Modello di vita. Non si deve aver bisogno di nessun segno, quando si va per la propria strada, ma qualche conferma a volte è utile per marcare la rotta. L’interesse dei ragazzi de IlCambiamento.it, o di questi qui, per “Rapsodia mediterranea” e i miei progetti, pur ognuno con le sue specificità, mi dà buoni segnali.

Buona lettura!

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Sta finendo qui

ma qui dov’è…?

Una settimana dura. Questioni personali. Lo vedete, non sto scrivendo, né qui né altrove. Dunque dovrò rivedere quello che sto dicendo e pensando, a mente fredda. Ma scrivere, comunicare, farlo professionalmente, a volte perfino come fosse una “missione”, non è come tenere un diario personale. Implica una certa quota di sacrificio e di impegno. Per questo, eccomi qui, ci provo, anche macinando sassi.

Sono a Gibilterra. Un limite, una porta. Qui Vandali, Ostrogoti, poi arabi per 650 anni (!), poi spagnoli (che fecero la “Reconquista” di qualcosa che non era mai stato loro), francesi, inglesi, e ora ogni altra cosa. E Genovesi, che dal ‎XVI secolo ai primi del Settecento erano quasi la metà della popolazione. Commercianti, naturalmente, ma anche pescatori d’alto mare. Nel 1753 i genovesi erano il gruppo più grande della popolazione civile di Gibilterra. Fino al 1830 l’italiano fu usato tra le lingue ufficiali. Oggi i cognomi liguri restano il 20% del totale.

Qui la lingua ufficiale è l’inglese, ma i gibilterrini usano il Llanito (pronuncia “Yanito”), un miscuglio di dialetti andalusi e inglese con molte influenze liguri. L’arabo è parlato dal 7% degli abitanti. Insomma, un bel miscuglio. Molto “mediterraneo”, se si vuole. Non è un caso che nel mio grande viaggio io sia venuto qui, non è solo un transito obbligato per Lisbona.

Eppure, in questo momento, sono nel New England, o in qualche porto a fiordo inglese. Lo potete vedere bene dalla foto. Il clima qui è umido come una colonia britannica, ma senza il sole dei tropici, semmai le nebbie del Sussex. La “consistenza fiscale” di questa comunità richiama valori e principi del tutto anglosassoni. Denaro. Marchi di griffe importanti. Grattacieli. Tabacco e alcolici free tax. TV che mandano incessanti le partite del Liverpool. Eccessi serali di gente troppo dedita a sballarsi bevendo e urlando. Un ubriaco, ieri sera, che tentava di raggiungere la sua barca, barcollando (appunto…) sul molo.

E allora un pensiero (che mi pare già tanto riuscire a formulare in questi giorni): il meticciato non è tutto uguale. Non è come il bianco, che viene sempre a galla ruotando un disco di mille colori. C’è contaminazione e contaminazione. Come per la cucina: ingredienti diversi, diverso cibo. Il meticciato, suppongo, resta sempre una risorsa, ma può essere adatto di più o di meno a te che lo frequenti. Non è un caso che io abbia avuto sempre la tendenza ad andare a est e a sud. Qui siamo a ovest. E sento che “il mio mondo” sta finendo qui. Vedremo. Domani, Cadice.
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L’inevitabile

La cosa migliore di andare (navigare, ma non solo) è che le cose della tua vita avvengono. Hai immaginato, hai temuto, ma poi tutto si è compiuto come deve.

Se salpare sarà stato altro da ciò che ti raccontavi, i Lestrigoni certamente ti ghermiranno, i Ciclopi faranno strazio della tua immaginazione sotto i grandi macigni dell’abbandono. Le sirene, soprattutto, quelle che ti sorridono ma hanno sguardo di fiera, t’inviteranno con successo a deviare.

Se invece salpando sarai nel tuo (proprio-dove-dovevi-essere), le cose avverranno com’è naturale e adeguato che avvengano. Ai Lestrigoni resteranno solo brandelli della tua camicia, alle sirene solo l’odore del tuo corpo. Destinato a procedere per rotta, sarai sempre lontano dalle insidie dei Ciclopi.

In entrambi i casi, accadrà l’inevitabile: la linea correrà, correrà, disegnando una matassa apparentemente casuale e inestricabile, oppure non procederà, e rimarrà solo un punto sul posto, all’inizio del foglio.
Groviglio e punto, belli o inquietanti che siano, sono il disegno particolareggiato del tuo volto.

Riguardandolo, potresti non riconoscerti, ma sei tu che ti sbagli: quel segno minuto o folle sei proprio tu. Tu al di là di ogni illusione, di ogni presunzione, di ogni supposizione. Di ogni inconsapevolezza. Di ogni infingimento.

(nel video, la rotta di Mediterranea 2013-2019)

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Rotta 2018 di Mediterranea

Se volete venire a bordo con me, anche solo per una settimana, scrivete a info@progettomediterranea.com

Ed ecco la Rotta 2018 di Mediterranea. Se volete partecipare, scrivete all’email che vedete nella cartina geografica.

D’inverno, che si viva nei boschi o tra le isole, a questo si pensa. Alla rotta. O almeno, a questo si pensa se si ha un progetto nel cuore, se si è salpati per l’unico motivo di svolgere quella spedizione, con i reali profondi interessi che riveste per te.

Progetto Mediterranea è uno dei miei “libero di”, cioè uno dei motivi (non l’unico) per cui 10 anni fa ho buttato all’aria tutto quel che avevo costruito, per cui avevo lottato, che poteva fruttarmi tante delle cose che tutti vogliono. A me tutto quello non bastava.

Io volevo realizzare qualcosa di diverso, vivere altri stati, altre emozioni, altre vite possibili. Volevo trovarmi scalzo in porti scalcinati, senza l’assillo del tempo, il peso delle responsabilità. Seduto con le gambe a penzoloni su un molo, magari, o a scrivere seduto sotto l’incannicciata di un bar turco. Conoscere il Mediterraneo davvero, baia per baia, porto per porto. Anche grazie a queste navigazioni è nato “Rais”, o “Atlante delle isole del Mediterraneo”.

E poi ascoltare le voci, le idee, incontrare non solo i talentuosi colleghi o gli schizzati che un Direttore del Personale pazzo mi aveva messo accanto. No, non solo quelli, e non per sempre… Volevo conoscere intellettuali, artisti, giornalisti che vedono il mio stesso mondo dalla costa opposta, che hanno idee migliori delle mie. O pescatori turchi, baristi libanesi, cameriere o funzionarie greche, israeliane, tunisine, francesi. Gente della mia terra. Gente del mio mondo. Del mio mare.

E non volevo farlo da solo, cosa che avrei potuto fare senza problemi. Ma con persone che avessero analoghe passioni. Che cercassero cose in sintonia con la mia visione. A cui potessi offrire quel ho da dare, per ricevere quel che loro volevano darmi. Mi piaceva l’idea che avendo qualche talento (come ognuno ne ha di propri) e avendo fatto certe scelte, non solo io, ma anche altri ne beneficiassero. L’ho fatto per farmi voler bene, certo, come sempre facciamo tutti, ma non solo. La costruzione di cose utili a tanti, grazie alle energie che abbiamo e a ciò che possiamo mettere in comune, è il primario e forse maggiore contributo che possiamo offrire al mondo. Io questa domanda me la faccio sempre: “cosa porto io, cosa offro, cosa sto dando io ad altri, che possano goderne?”.

Per questo sono salpato. Per non morire prima di aver fatto ciò che amavo. Prima di aver fatto tutto il possibile.
Quanto ho da vivere, trent’anni? Oppure due? Ecco, ora non è ancora quel giorno. Per questo sono partito nel 2013 e poi ufficialmente nel 2014. Per questo ho ideato e lavoro tanto a #ProgettoMediterranea.

Dunque, eccovi la rotta per quest’anno. Da Trapani a Lisbona via Marsiglia. Guardatela e, se volete, venite con me.

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Tra maggio e settembre navigheremo da #Trapani fino a #Lisbona, in una rotta tutta europea. Quelli che chiamiamo gli “Amici di Mediterranea”, cioè chiunque voglia venire a bordo per un tratto, sono i benvenuti per condividere e partecipare alle attività della spedizione.

Le tappe principali sono quelle indicate sulla mappa e lì si svolgeranno i cambi dell’equipaggio, mentre durante la navigazione, ci saranno soste in baie e in eventuali piccoli porti intermedi. Attraverseremo il #Pelagos – Santuario dei Cetacei, splendida area marina protetta del #Mediterraneo, compresa fra la Toscana, Liguria, Sardegna e Provenza. Saremo quindi a #Marsiglia e #Barcellona, per gli incontri culturali del programma culturale del Progetto Mediterranea e poi, attraverso #Gibilterra, passeremo in #Atlantico per raggiungere Lisbona. Sempre con rispetto di ciò che il mare vorrà concederci.

Per ricevere il calendario di navigazione, per prenotarvi e per ogni altra informazione, l’unico modo è scrivere all’indirizzo del nostro sito, che vedete sulla cartina.

#progettomediterranea #Rotta2018 #incontriculturali

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Booktrailer (l’Atlante esce oggi…)

Esce oggi in libreria. Il mio “Atlante“.

Per uno scrittore-marinaio scrivere un atlante è un come comporre da soli il proprio breviario, scrivere da sé le preghiere da recitare. Un testo “sacro”…

È bello parlare di cose “sacre”, soprattutto per un ateo. La vita ha una profonda, imperscrutabile sacralità. Qualcosa di essa, un brano molto importante della sua profonda natura, è finito anche qui, in questo volume. Forse mai come in questo libro, che racconta di isole, navigazioni, misteri, leggende, immaginazioni, mi sono occupato di cose sacre. È sempre così quando cerchi di descrivere l’indescrivibile.

Buona lettura.

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Aspetto il vento

Un vulcano. Un’isola. Ieri..

Navigare. Sempre. Muoversi prevalentemente tra le isole. Tracciare rotte e percorrerle, evitando quelle soltanto immaginate come fossero teredine in grado di sbriciolare lo scafo duro della più resistente esistenza. Disegnare poi, col carboncino del fuori rotta, che differisce sempre dall’idea primigenia, immagini marine occulte, tinte di sorpresa e sconcerto, giorni duri e meraviglia. Comprendere, soltanto molto tempo dopo, che quel profilo, che pareva solo linea rotta, somiglia a ciò che non sapevamo immaginare così puntualmente, l’idea mai avuta di sé, che dovevamo avere nel “tempo sognato in cui bisognava sognare”. Assorbire, con la sensazione mutevole che recano le buone o cattive notizie, ciò che eravamo, ciò che siamo diventati, nel cazza e lasca di quella che non sapevamo fosse ben più di una tratta, ma il farsi mentre lo si sta facendo. Il divenire mentre si sta diventando. E di cui, generalmente tardi, comprendiamo il rispetto dovuto, che avremmo dovuto, incerti di essere più colpevoli o più vittima, giacché chi lo doveva dare e chi ne aveva diritto erano la stessa persona. Eppure, così, improvvisamente, prima di quel giorno, come oggi, accorgersene, in medio tratto, nella linea rotta del presente.

Mi sono accorto che sono salpato, qualche anno fa, per un lungo viaggio, con un’idea del Mediterraneo fatto delle terre-nazioni che lo attorniano; mi sono sviluppato di miglio in miglio in un’idea di Mediterraneo delle città che lo accumulano, custodi della sua anima puntiforme e della natura lunga; mi sto distaccando dal pregiudizio dell’inconoscenza con l’idea di un Mediterraneo delle isole, contenuto in luogo del contenitore, il mare, dunque, finalmente, non i paesi; il mare, non le terreferme; il mare, non i fondachi assurdi in cui, pure, godere. Isole, punti di una retta tracciata da un maniaco, che a unirli riflettono sempre e solo un’altra immagine (la sua vittima), anche se offrono senso. Da osservatori, quando si salpa davvero, si diventa amanti, poi tessitori, di lunghi dialoghi amorosi sulla tela seta della speranza.

Aspetto il vento, qui, oggi, in una baia a scirocco. Forse mercoledì arriverà da ponente. Rotta a sud per un’altra, ennesima isola. Il punto estremo e fatale di un visionario cieco, amaro: Dragut rais.

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Canzoni

Porto Kagio. Verso l’entrata.

Facevano così i maestri d’ascia: per ogni lavoro, prima, si costruivano lo strumento. Ieri l’ho fatto. Col vento che spingeva bene, ho cercato di costruire parole usando non ciò che vedevo ma ciò che ascoltavo, con le mani che avevo. Il glottolìo della poppa, il fusciàme della chiglia, lo stinnìo dei grilli, la teorondàna delle drizze, gli spòcchi delle torsioni, il fresco fluminànte delle brezze. Parole raccolte, assemblate, tornite sul mare, godute e abbandonate, che narrano suoni incuranti dei significati. Dunque, precisamente, non si trattava di parole, ma di note. E con le note si compongono canzoni.

In migrazione, come i pelagici, seguo venti e correnti, sfruttando ogni possibile associazione tra angoli e scorrimenti. Navigare a vela è una questione goniometrica e fluidodinamica, non diversamente dalla conoscenza. Ma sono anche in grado di fermarmi, dunque sono anche dialogico: comunico, silenzi e parole, note e pause della grande ouverture, a bordo e negli sbarchi, quando come gli assassini torno sui luoghi dei miei transiti più o meno sanguinosi. Mi è capitato spesso di farlo. Ed è a questo che pensavo ieri, entrando nella baia di Porto Kagio, penisola del Mani, isola del Peloponneso. Qui ho dato àncora qualche anno fa, in uno dei due peggiori momenti della mia vita. Questa rada aspra cinta da colline e piccole montagne scabre, mi ha gaffato l’anima e la barca per tre notti e tre giorni con 40 nodi di maestro e amarezza, ponente e spaesamento. Difficile comunicare; in trappola, senza neppure poter sbarcare; guardie notturne e diurne; prostrato dentro e in allarme fuori. In quel momento avevo compiuto un gesto duro e difficile, per me, per altri. E non era un gioco per restare dov’ero, ma per cambiare davvero. La mia sofferenza si sommava ad altre. Nell’introduzione la libro che sto scrivendo, leggo: “Quando tra le isole sei vissuto a lungo, quando ne hai meritato l’atterraggio con la fatica della vela, invaso baie con circospetta intimità, o quando ti hanno torturato per notti intere all’àncora, senza poter salpare e fuggire nel mare agitato di chissà quale controvoglia emotivo… finisce che in te si agitano demoni, da temere ancora. O angeli azzurri da ancora sognare”. Pensavo a questa baia, quando ho scritto queste righe, e anche poco fa, spingendoci la prua.

Dio come sono stato male qui…. E Dio come fa male quando la cascata delle lacrime si lascia trafiggere dalla bellezza. Dovrebbe essere vietata la bellezza durante il dolore. Fa affilato ciò che già squarcia, appuntito ciò che scarnifica.

Ma nel punto dove dobbiamo incontrare il nostro destino non è mai facile fermarsi. Come ieri: tre volte ho dato e ridato àncora, non trovavo una mia posizione. Trovarsi significa esserci, e io stavo ancora tornando. Poi ci siamo riconciliati, con un’occhiata sobria, onesta, virile. E con un lieve sorriso. Chi sta a lungo in mare (o chi profondamente vive) non fa che rammendare reti, cucire strappi alle vele, come un pescatore eternamente intento. E così finiamo col sorprenderci a sorridere nei luoghi del pianto, grondanti perduta meraviglia. Navigare è questione artigianale, che si fa con le mani, ma anche spirituale, che si fa con la mente, e sentimentale, col cuore.

Alle cause e alle vittime del dolore, come a chiunque altro intorno a cui abbiamo già detto grazie o scusa, rivolgiamo un saluto e un sorriso, stanotte, al cambio del giorno. Tanta acqua è scorsa sotto la chiglia. Normale, ormai, da molto tempo, e qui, nuovamente, ora… sentirsi lontani. Ogni parola dolce è tragica nella rada del rancore. Ogni silenzio gravido è possibile nelle baie della nostra riconciliazione. Occorre solo capire con sensata umanità. Ma con entrambi i registri, ciò-di-cui-siamo-capaci (che ci misura), scriviamo (e cantiamo) sempre la nostra canzone migliore.

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