50 minuti. Per affrontare tutto (quasi…)

Durante l’intervista…

50 minuti di intervista su Byoblu, che contrariamente a quasi tutti i media ha almeno il coraggio del tempo. Il tempo che serve per approfondire, sviscerare, affrontare le diverse sfaccettature, alcune almeno, di un grande, immenso discorso.

Vi consiglio di prendervi il tempo che serve per guardarla e ascoltarla. E poi, se volete, di non tenervi tutto dentro, ma di consentire anche a noi, a tutti, di ascoltare voi. Scrivetemi, qui o in privato, come volete. È utile. Oltre questo, oltre comunicare insieme su questi temi, del resto, cosa c’è?

Buona visione. #adessobasta.

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Prima della fine della frase

La foto mi è venuta sfocata. Stavo per cancellarla, e invece rende molto l’idea della… sospensione.

Pare che stia arrivando la pioggia. Vedo due ampie perturbazioni che si avvicinano da ovest. Speriamo che non siano troppo forti. Nel mondo che cambia abbiamo imparato ad avere paura della pioggia, che mai i nostri nonni ebbero. E tuttavia, la campagna, qui nel Levante Ligure, è in uno stato di siccità mai visto prima. Figuriamoci che sto bagnando ancora l’orto, ho ancora i fiori di zucca, le melanzane, i pomodori… A fine ottobre.

Eppure… che mesi meravigliosi. Un periodo lungo, che pare non avere fine, di cielo azzurro, aria immobile, cristalli di tempo che scendono volando come la neve. Mi sono ripromesso di scriverne, di questo lungo periodo immerso nella meraviglia, perché poi cambierà, poi ci dimenticheremo, e dimenticare mesi così sospesi e fatati non va bene. L’equilibrio e l’armonia sono doni non scontati, bisogna prenderne appunto.

Mi ha chiamato un ex collega, qualche giorno fa. Mi ha raccontato alcune cose, poi mi ha chiesto come stavo. Non ci sentivamo da tantissimo. Ho avuto l’impulso di raccontargli questi quasi undici anni, poi ho risposto: “bene, bene, tutto bene”. Lui non ha chiesto, non ha approfondito. Meglio così.

Mai come in questi ultimi mesi mi sono reso conto del valore delle scelte, del peso che hanno, quotidianamente, e soprattutto del valore assoluto di richiamare sempre tutto a sé, ogni singola decisione, del tutto responsabili del nostro destino, ma anche del tutto consapevoli di esserlo. Recentemente ho sentito persone perfino intelligenti attribuire a questo o a quello le loro decisioni. Come se non fosse evidente quel che stava capitando dentro di loro. Mi sono stupito, poi rammaricato. Poi però mi sono ricordato della meraviglia intorno a me, e li ho dimenticati. Ormai chi dice: “Tu…” o “Lui…” spiegandomi perché sta male, lo saluto prima della fine della frase. Non me ne frega più molto di chi ignora ciò che avviene dentro di lui e della follia di attribuire responsabilità al di fuori di sé. Se non interessa a loro… Figuriamoci a me. Anche perché guarda ancora che bel sole, senti ancora l’aria estiva. Poi finirà. Non voglio perdere nulla. Tanto meno tempo.

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Arcipelaghi

Storie di ordinaria miseria. Gente che si spaccia per altro su questi maledetti luoghi d’impostura (e di splendida comunicazione) che sono i social network. Uomini (soprattutto) che fingono ciò che non hanno, portatori di ciò che non sono, dunque aspirano a un incontro inautentico, certi di non esserci per qualcosa di vero. Non è giusto, tuttavia, dire che queste nuove modalità di relazione ci stiano cambiando. Rivelano solo ciò che siamo da sempre. Una bomba non rende un uomo violento: gli consente solo di uccidere più uomini, con la stessa cattiveria di quando brandiva solamente un coltello.

Sto scrivendo di isole, in questo periodo, per il nuovo libro. Un “Atlante” che pare ovvio per me, quasi obbligato. Eppure l’onda di emozioni rotola con la schiuma-parola, travolge fino alle lacrime. Isole del Mediterraneo, luoghi della prigionia, della solitudine, della nostalgia, della pazzia, dell’omicidio, della resurrezione, luoghi limite del sogno, dell’amore e del silenzio, il materiale di cui sono fatte le voci. Isole e social network sembrano avere assai più elementi in comune di quanto non potrebbe sembrare. Un mare di bottiglie che contengono una richiesta d’aiuto. O di antri in cui sono sepolti tesori. Prevarrà l’urlo o l’omertà? Il nascondiglio o il ritrovamento? Chissà…

Ascolto qualcosa di armonico, stamattina, per risollevarmi dalla miseria e fare prua sul rapimento emotivo. Cos’è un coro, se non un arcipelago? Un gruppo di terre che, per un istante, rinunciano a rimanere soltanto isole

 

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Càpita

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Malaga. Qualche giorno fa. Ma qui è lo stesso.

Tornando indietro molte cose non le rifarei. Non in quel modo, non con quella casualità. “Ti aspettavo” è la frase migliore da dire, se è vera, in un incontro. Solo che per aspettare qualcosa occorre sapere che esiste, crederci senza prova, avere fiducia che avverrà. Che poi accada, è faccenda del tutto diversa. Che poi non accada, non conta. Non si vive sulle certezze, perché il punto non è l’avvenimento, ma chi sei stato fin lì, cosa credevi quando credevi. Il fatto è che nel rumore non ci riesci.

Scrivo ormai da più di tre settimane, ogni giorno. Non vedo nessuno, non parlo con nessuno, solo pensiero libero, sentimento del mondo che occupa ogni spazio, poi poca musica, del cibo, il fuoco, gli alberi. Il temperino del tempo e della solitudine hanno reso acuminata la sensibilità. Sono così costernato quando mi accorgo che onda immensa di pensieri, sensazioni, sentimenti si impadronisce di un essere solitario, silenzioso, presente. Costernato dalla consapevolezza di cosa accade là fuori. Ogni distrazione, ogni incombenza, ogni scadenza, perfino le relazioni quotidiane imposte dai luoghi e dal dovere, anestetizzano, riempiono di schiuma. Fanno sentire pieni e gonfi anche se abbiamo dato solo un piccolo morso all’esistenza. La stanchezza della sera non è prova di alcuna vera azione, semmai del falso movimento. Quante inutili faccende affollano lo spazio dell’essenza. Non c’è spazio per nulla. 

Oggi ho salutato il tempo. Passava qui davanti, ci siamo fatti un cenno. Mi ha guardato nervoso, corrucciato. Mi è spiaciuto non farlo entrare, ma era attorniato di secondi, minuti, ore inutili, e non volevo confusione in casa. E’ stato un po’ lì, nel vialetto, fumava una sigaretta dietro l’altra. Il vociare mi ha attratto, ho avuto la tentazione di uscire, fare due chiacchiere, invitare tutti a prendere un caffè. Poi grazie al cielo se n’è andato, con tutto il suo codazzo di normalità. E’ stato utile vedere quella processione d’impiegati e operai del nulla che si allontanava, bello ritrovare la quiete e l’immobilità. Mi ero distratto, ieri l’altro. Càpita. Bisogna che ci stia più attento.

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Senza neppure l’isola

Complici i fatti della vita, e grazie a questo posto incantato, sperimento ogni cosa dentro di me, nel silenzio e nella solitudine. Non si tratta della passeggiata che puoi immaginare quando avresti bisogno di stare da solo, o del pomeriggio a casa quando vorresti riposare e fuggire dalle incombenze. Piuttosto di una condizione sospesa, indefinita, che pende dalle labbra del tempo, della luce, del vento.

E’ sorprendente come il mondo resti per lo più vivibile, a tratti perfino meraviglioso, senza che nessuno faccia esperienza di questo. Vista da qui, pare impossibile pensare alla vita, o che si riesca anche solo a rimanere degli esseri umani, senza la pratica della solitudine come ingrediente quotidiano, alimento almeno periodico. Addirittura, la gran parte di noi potrebbe fare fatica a ricordare un giorno soltanto della sua intera esistenza passato nel silenzio, in effettiva, completa solitudine. I più, assuefatti al consesso umano, mi pare che fuggano l’isolamento, cioè la condizione interiore insulare, che prevede necessariamente un’isola e molto mare circostante, privo di bastimenti in arrivo.

E tuttavia questa sospensione non è una condizione ma un percorso. Senza mai neppure un giorno d’inizio, tanto meno si riesce a comprendere ciò che significa questo stato il suo secondo giorno, o il quinto, o il ventesimo, che sono tutt’altro, come scrivere trenta volte una lettera su un foglio, da bambini, non somiglia in nulla al nostro primo racconto, la nostra prima adulta lettera d’amore.

Chi non è mai stato in mare, da solo, di notte, su una barca a vela con mare formato e vento sostenuto, lontano dalla terraferma e dai ripari, non può dire cosa sia la paura. Così come nulla può dire sensatamente della sua vita, non dico della vita in generale, chi non abbia trascorso almeno una settimana in solitudine effettiva, in un luogo dove sperimentare se stesso come uomo-su-un’isola, poi come fosse l’isola stessa senza neppure quell’uomo, poi solo il mare senza neppure l’isola.

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Con cura

Granciporro

Circa due ore per togliere tutta la carne da alveoli e chele. Poi occorre condirlo, il minimo possibile. Un po’ come quando si vive: tanto tempo per preparare un piacere, che vola via.

Progetto una dieta molto povera di grassi e alcool, ricca di verdure e fibre; solo di tanto in tanto un gelato, voglio provare per tutto agosto le varie marche, assaporandole con calma alla temperatura giusta, per stabilire quale sia il migliore; scriverò molto, ho iniziato subito, addirittura ieri, fuori orario, come dovessi salvarmi da un imminente affogamento, ma ora ho una data, e le date arrivano presto; farò meditazione, e anche esercizi per la schiena; tutto il tempo in cui non scrivo lavorerò alla casa, a cominciare dall’incannicciata sopra al tavolo LIFE; metterò a posto il capanno degli attrezzi, è uno spazio che va liberato e reso funzionale; per la casa sull’albero non ho tempo, ma voglio preparare l’area e studiare bene la questione; forse andrò a correre, se la debolezza e il caldo lo consentono; curerò l’orto, che quest’anno sta dando tanto, sia sopra sia in fondo al terreno; soprattutto leggerò i pochi libri che mi mancano per sapere tutto sull’uomo di cui sto scrivendo, non il pirata, l’altro; ci sarebbero le decine di sagre paesane, qui intorno, ma non sono sicuro che ci andrò; voglio godere del verde, dell’aria fresca del mattino e della sera; ascolterò molta musica; proverò a pensare solo al romanzo, e se non ci riuscirò guarderò dei film; se riesco, come non ho mai fatto, voglio dormire, il rischio di essere svegliato da una visita lo vedo trascurabile. E poi ho sempre dormito poco in vita mia. Forse ho sbagliato…

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Per quelli come me…

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Tsarevo

Per quelli come me, non c’è mai un attimo di assenza, ma quando non ci sono, che sensazione di splendido vuoto. Per quelli come me c’è sempre un po’ di sospetto, ma quando qualcuno ha fiducia in me, che gratitudine provo per lui. Per quelli come me non c’è mai un istante senza pensieri, ma quando non penso, che splendide idee ho in testa. Per quelli come me l’alba è il momento dell’energia e della speranza, ma quando spero al tramonto che grandi progetti vengono fuori. Per quelli come me c’è sempre pronto il giudizio, ma quando qualcuno non mi giudica che gioia provo per il suo silenzio. Per quelli come me non c’è una casa, non c’è un sentiero, ma quando non mi perdo potrei essere dovunque, e quella è la mia casa. Per quelli come me contenere tutto il mondo in un unico piccolo corpo è la fatica di sempre, ma che sorpresa la leggerezza di un istante. Per quelli come me è difficile spiegare la libertà, ma quando qualcuno capisce che è come per lui l’amore, allora spero e m’innamoro. Per quelli come me, che credono sempre alle parole, che sconcerto accorgersi di cambiare. Per quelli come me, che quando aspettano un treno sono felici, che bello guardare i treni andare chissà dove. Per quelli come me, che non sono niente ma hanno nel cuore tutti i sogni del mondo, com’è piccola e poca e corta la realtà. Per quelli come me, condannati a cent’anni di solitudine, che bello raccontare storie intorno a un fuoco. Per quelli come me, che non hanno mai mollato un minuto della loro vita, che bello chiudere gli occhi

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Metodi

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Il nuovo pontile

 

Piccolo bilancio di questi quindici giorni in totale solitudine, rientrato a casa:

ripulita casa; lavato e riordinato indumenti con tre lavatrici piene; fatto cambusa sui fondamentali; tagliato e spaccato circa una tonnellata di legna; smantellato pontile ormai marcio e rifatto più grande; diserbato, concimato e piantato orto (cipolle, pomodori, cetrioli, zucchine, peperoncini, fragole, erbe aromatiche); aggiustata recinzione; letto tre libri; scritto nove capitoli del romanzo; fatto due trasferimenti di barche per denaro; studiato circa ventitré ore; visto dodici tramonti; iniziato riparazione pontile a nord; fatta manutenzione alla macchina del caffè; svuotata fossa biologica; portata irrigazione a timer lato nord est della casa; ricevute undici telefonate; tolto terriccio e rassettato angolo del compos; raccolte otto volte erbe selvatiche (soprattutto asparagi, germogli di pungitopo, germogli di mora, tarassaco, ranuncoli, aglio selvatico); visto dodici film; riordinato bancone da lavoro; sturato tubo scarico acque grigie cucina; pensato molto; fatto cinque telefonate; tenuta corrispondenza per Mediterranea; stato alla posta tre volte; realizzato tre cornici per poster e quadri; realizzata grande scritta sulla scala; bevuto sei bottiglie di vino; fatto esercizi per la schiena; aggiustata crepa scala nord est con cemento; fatto meditazione cinque volte; cucinato trenta volte; ricevute due visite; sofferta spesso la solitudine; gioito molte volte per il silenzio assoluto; avvistati quattro volte gli scoiattoli (Tracy e Alvin); uscito per compere o altro, quattro volte.

L’uomo di mare, in terraferma, ha bisogno di metodo. Ma dato che ogni uomo, rispetto alla sua vita, è paragonabile al marinaio in navigazione, il metodo serve a tutti. Il metodo non ha niente a che fare con l’essere metodici. In mare non si è mai metodici, si procede sempre, e solo, per priorità. Stando sempre nei tempi. Osservare dietro di sé la propria scia e accorgersi di non aver guadagnato acqua, è la cosa più triste che possa capitare in mare. E nella vita.

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Troppo attivo

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Gomene trattenute o che stringono?

La solitudine e la noia. Mi ricordo che ci pensavo: “Ma non mi annoierò? Con dieci ore disponibili, che di solito sono impegnate dal lavoro, che ci farò?” Paure. Per niente campate in aria. Ci vuole molta fantasia per impegnare il tempo. E non basta neppure.

Il tempo scorre rapido quando vorresti che rallentasse. E’ immobile quando aspetti. Vorresti startene solo quando non puoi, e qualcuno che bussasse quando sei solo. Nei rari momenti di transito, vuoto e pieno si bilanciano, tempo e relazioni ti bastano. Ma avere e non avere (tempo e compagnia), non hanno a che fare con ciò che si ha.

La frenesia, l’incapacità di non fare, sono un segnale. Nell’imbrunire è possibile trovare l’alba, ma non è immediato, per nulla semplice. La solitudine non è necessariamente isolamento, anche se guardi e non vedi nessuno. Mi è capitato di aver voglia di stare da solo dopo essere stato con me: mi ero fatto l’effetto di una moltitudine. Mi è capitato di aver voglia di stare con gli altri, mentre ero con gente che somigliava a un deserto.

A bordo, d’inverno, le ore scorrono seguendo un filo tutto loro. Ieri ho pensato: “stamattina ho lavorato due ore al computer, poi tutto il resto del giorno cos’ho fatto?” Niente. Forse è per questo che oggi ho bisogno di riposo: sono stato troppo attivo, in quel niente.

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Mani…

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