Mediterranea su RAI 3 e RaiNews24

Una barca insolita, l’ha definita Roberto Alajmo nel suo TG Mediterraneo, su RAI 3, ieri l’altro.
Insolita… Che curiosa definizione. Non solita. Non la solita barca. Non le solite persone. Dunque, per estensione del concetto: diversi.

Nell’epoca dell’omologazione, “diversità” è una parola che si spoglia di tutto il suo alone “anomalo” (non inseribile nel “nomos”, cioè nella regola) e si veste di qualcosa di proprio. Magari sono solo quattro stracci, una camicia strappata, un paio di braghette tutte lise, però sono i propri abiti. Qualcosa capace di identificare.
Non cosa di poco conto…

A ogni modo, ecco il servizio su Mediterranea.
Buona visione

 

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La “Bandiera per il Mediterraneo” su Rai1 – Linea Blu

In collegamento dall’Ultima Thule per lanciare l’iniziativa.
Il Mediterraneo non ha una bandiera. E allora disegniamola. Una bandiera per unire le diversità. Le bandiere sono belle, ma a volte sono pericolose. Disegniamone allora una in cui riconoscere la propria identità, capace di accogliere e dialogare, per cui valga sempre la pena di vivere, mai di morire.

Qui il servizio su Rai 1 dal minuto 20’15”:
https://www.raiplay.it/video/2020/05/lineablu—ritorno-al-mare-2b863e39-4451-49dd-8a0b-29405bffd280.html

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Ultimo anno. Lisbona-Genova

Ecco la #Rotta2019 di MEDITERRANEA.
Per venire a bordo e avere tutte le informazioni, scrivete all’indirizzo: info@progettomediterranea.com

Inizia l’ultimo anno di navigazione a vela della spedizione nautica, culturale e scientifica “Progetto Mediterranea” che si concluderà a Genova il 12 ottobre 2019.

Per me una grande emozione.
Questa spedizione è salpata sei anni fa, nel 2013, poi ufficialmente nel 2014 dopo i Balcani e il Golfo di Venezia. Ho faticato tanto a tenere duro nei momenti difficili, e grazie a Francesca Piro e ai compagni di viaggio “Mediterranei” e agli “Amici di Mediterranea”, siamo arrivati fin qui. Grande avventura. Vivere, nel senso più completo e ricco del termine. Il mio “liberi di”.

Tra giugno e ottobre navigherò da Lisbona lungo una rotta che riporterà Mediterranea definitivamente in Italia. Le tappe principali sono quelle indicate sulla mappa e lì si svolgeranno i cambi dell’equipaggio, mentre durante la navigazione ci saranno soste in baie e in eventuali piccoli porti intermedi. Navigherò da #Lisbona lungo il #Portogallo, tornerò nella bella Lagos, per fare poi una breve puntata in #Spagna, in una città che ho amato tanto, Cadice, e traversare da lì sulla costa marocchina. Approderemo a #Tangeri, per proseguire poi per #Melilla; da lì, con una lunga traversata – verosimilmente senza soste intermedie perché la nostra diplomazia ci ha messo in guardia sull’Algeria, vedremo… – raggiungeremo #Tabarka, le Isole de La Galite, #Bizerte, e quindi la #Tunisia. Ai primi di agosto, torneremo in Italia passando dalle Egadi, da #Trapani e quindi la costa nord della #Sicilia, senza mancare Palermo e le Eolie. Proseguiremo poi verso la #Calabria, per iniziare la risalita verso nord, con soste nelle principali città costiere, nelle isole pontine e nell’arcipelago toscano e naturalmente a #LaSpezia. L’arrivo è previsto a #Genova il 12 ottobre. Avremo percorso a quel punto poco meno di ventimila miglia in sei anni per tutto il Mediterraneo, tranne alcune località dove la guerra ci ha impedito di andare.

Chi vuole venire con noi è il benvenuto, anche solo per una settimana. Basta che scriviate all’email: info@progettomediterranea.com.

La rotta 2019
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Quelle mani

Esce oggi, in Germania, e in tutti i paesi germanofoni. Lo pubblica Wagenbach, un grande editore.

La mano di una donna di Dusseldorf lo appoggerà su un tavolo bianco, in una cucina che sa di verza stufata resa agra dall’aceto, dandogli appuntamento a presto, speranzosa di ritrovarlo al proprio ritorno dall’ufficio; quella di un trentenne di Colonia che indossa una cravatta alla moda e torna ora da un viaggio d’affari faticoso lo afferrerà per concedersi qualche momento di sogno, seduto su un divano, immaginando se stesso a bordo di una barca a vela nella prossima, lontanissima estate; le dita di un’anziana signora di Brema ne accarezzeranno la copertina senza neppure aprirlo, ancora, e seguiranno la linea del confine tra l’isola di Milos e il mare, che lì è sbiadito ma che lei ricorda benissimo azzurro intenso, in gioventù, colorato dalla sua voglia e dalla memoria di quegli anni; le mani di Klaus, un berlinese di circa cinquant’anni, ne soppeseranno la mole in una luminosa libreria non lontana da Potsdamer Platz, aprendolo, sfogliandolo, cercando di capire se possa essere più affascinante o più pericoloso, leggerlo, dato il momento delicato della sua vita….

Quelle mani, bianche per il poco sole, quelle anime di ragazzi, donne, giovani o anziani tedeschi o austriaci o svizzeri, affascinati dal Sud, dalla parola “Mediterraneo“, dai ricordi e dalle suggestioni di un’appartenenza sempre difficile, sempre controversa e incomprensibile, correranno tra le pagine fino in fondo al libro, o digitando su uno smartphone, alla ricerca dell’autore, a caccia di un dettaglio sull’uomo che le ha scritte. Spereranno, come sempre sperano le mani di un lettore, di individuare un buon motivo per non comprare quel libro, di cui avvertono il rischio, la cui energia potrebbe generare sconquassi, o di una valida ragione per comprare parole di cui hanno già intuito la luce.

Poi, come le mani e le anime di qualunque donna o uomo italiano o di qualunque altro luogo del mondo, con un gesto impulsivo lo porteranno alla cassa, o lo poseranno sullo scaffale dove lo hanno preso. Come chiunque, in quel bivio tra un essere umano e un libro, sceglieranno senza commettere alcun errore.
Avverrà così, per l’ennesima volta, anche a Stoccarda, a Colonia, a Norimberga, o forse a Vienna, a Zurigo… l’antico miracolo mancato o colto del contatto e del riconoscimento: si leggono sempre, soltanto, le storie che abbiamo già scritto dentro di noi. In case così diverse da quelle dove è stato generato, a latitudini distanti decine di gradi da dove la vita lo ha suscitato, un libro troverà spazio su un tavolo, o su un comodino, su un divano o su una mensola, come se lì fosse nato, e verrà dimenticato o letto, riletto, rivenduto, sfogliato da soli o in compagnia, mostrato, occultato, scarabocchiato, sottolineato, portato con sé in un viaggio, o regalato, prestato… Forse, verrà dimenticato, il triste destino di molti libri, magari in una stanza d’albergo, o durante un viaggio. Su un’isola…

Le parole, emerse senza spiegazione nel turbine del sentimento e dell’alchimia di un giorno e di un luogo lontanissimo, e poi circolate ora in un altrove senza limite, in ogni caso, resteranno. Viaggeranno. Produrranno come sempre un istante di vibrazione, un millimetro di spostamento. E tutto, ancora una volta, si sarà compiuto.

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Sta finendo qui

ma qui dov’è…?

Una settimana dura. Questioni personali. Lo vedete, non sto scrivendo, né qui né altrove. Dunque dovrò rivedere quello che sto dicendo e pensando, a mente fredda. Ma scrivere, comunicare, farlo professionalmente, a volte perfino come fosse una “missione”, non è come tenere un diario personale. Implica una certa quota di sacrificio e di impegno. Per questo, eccomi qui, ci provo, anche macinando sassi.

Sono a Gibilterra. Un limite, una porta. Qui Vandali, Ostrogoti, poi arabi per 650 anni (!), poi spagnoli (che fecero la “Reconquista” di qualcosa che non era mai stato loro), francesi, inglesi, e ora ogni altra cosa. E Genovesi, che dal ‎XVI secolo ai primi del Settecento erano quasi la metà della popolazione. Commercianti, naturalmente, ma anche pescatori d’alto mare. Nel 1753 i genovesi erano il gruppo più grande della popolazione civile di Gibilterra. Fino al 1830 l’italiano fu usato tra le lingue ufficiali. Oggi i cognomi liguri restano il 20% del totale.

Qui la lingua ufficiale è l’inglese, ma i gibilterrini usano il Llanito (pronuncia “Yanito”), un miscuglio di dialetti andalusi e inglese con molte influenze liguri. L’arabo è parlato dal 7% degli abitanti. Insomma, un bel miscuglio. Molto “mediterraneo”, se si vuole. Non è un caso che nel mio grande viaggio io sia venuto qui, non è solo un transito obbligato per Lisbona.

Eppure, in questo momento, sono nel New England, o in qualche porto a fiordo inglese. Lo potete vedere bene dalla foto. Il clima qui è umido come una colonia britannica, ma senza il sole dei tropici, semmai le nebbie del Sussex. La “consistenza fiscale” di questa comunità richiama valori e principi del tutto anglosassoni. Denaro. Marchi di griffe importanti. Grattacieli. Tabacco e alcolici free tax. TV che mandano incessanti le partite del Liverpool. Eccessi serali di gente troppo dedita a sballarsi bevendo e urlando. Un ubriaco, ieri sera, che tentava di raggiungere la sua barca, barcollando (appunto…) sul molo.

E allora un pensiero (che mi pare già tanto riuscire a formulare in questi giorni): il meticciato non è tutto uguale. Non è come il bianco, che viene sempre a galla ruotando un disco di mille colori. C’è contaminazione e contaminazione. Come per la cucina: ingredienti diversi, diverso cibo. Il meticciato, suppongo, resta sempre una risorsa, ma può essere adatto di più o di meno a te che lo frequenti. Non è un caso che io abbia avuto sempre la tendenza ad andare a est e a sud. Qui siamo a ovest. E sento che “il mio mondo” sta finendo qui. Vedremo. Domani, Cadice.
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L’inevitabile

La cosa migliore di andare (navigare, ma non solo) è che le cose della tua vita avvengono. Hai immaginato, hai temuto, ma poi tutto si è compiuto come deve.

Se salpare sarà stato altro da ciò che ti raccontavi, i Lestrigoni certamente ti ghermiranno, i Ciclopi faranno strazio della tua immaginazione sotto i grandi macigni dell’abbandono. Le sirene, soprattutto, quelle che ti sorridono ma hanno sguardo di fiera, t’inviteranno con successo a deviare.

Se invece salpando sarai nel tuo (proprio-dove-dovevi-essere), le cose avverranno com’è naturale e adeguato che avvengano. Ai Lestrigoni resteranno solo brandelli della tua camicia, alle sirene solo l’odore del tuo corpo. Destinato a procedere per rotta, sarai sempre lontano dalle insidie dei Ciclopi.

In entrambi i casi, accadrà l’inevitabile: la linea correrà, correrà, disegnando una matassa apparentemente casuale e inestricabile, oppure non procederà, e rimarrà solo un punto sul posto, all’inizio del foglio.
Groviglio e punto, belli o inquietanti che siano, sono il disegno particolareggiato del tuo volto.

Riguardandolo, potresti non riconoscerti, ma sei tu che ti sbagli: quel segno minuto o folle sei proprio tu. Tu al di là di ogni illusione, di ogni presunzione, di ogni supposizione. Di ogni inconsapevolezza. Di ogni infingimento.

(nel video, la rotta di Mediterranea 2013-2019)

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Rotta 2018 di Mediterranea

Se volete venire a bordo con me, anche solo per una settimana, scrivete a info@progettomediterranea.com

Ed ecco la Rotta 2018 di Mediterranea. Se volete partecipare, scrivete all’email che vedete nella cartina geografica.

D’inverno, che si viva nei boschi o tra le isole, a questo si pensa. Alla rotta. O almeno, a questo si pensa se si ha un progetto nel cuore, se si è salpati per l’unico motivo di svolgere quella spedizione, con i reali profondi interessi che riveste per te.

Progetto Mediterranea è uno dei miei “libero di”, cioè uno dei motivi (non l’unico) per cui 10 anni fa ho buttato all’aria tutto quel che avevo costruito, per cui avevo lottato, che poteva fruttarmi tante delle cose che tutti vogliono. A me tutto quello non bastava.

Io volevo realizzare qualcosa di diverso, vivere altri stati, altre emozioni, altre vite possibili. Volevo trovarmi scalzo in porti scalcinati, senza l’assillo del tempo, il peso delle responsabilità. Seduto con le gambe a penzoloni su un molo, magari, o a scrivere seduto sotto l’incannicciata di un bar turco. Conoscere il Mediterraneo davvero, baia per baia, porto per porto. Anche grazie a queste navigazioni è nato “Rais”, o “Atlante delle isole del Mediterraneo”.

E poi ascoltare le voci, le idee, incontrare non solo i talentuosi colleghi o gli schizzati che un Direttore del Personale pazzo mi aveva messo accanto. No, non solo quelli, e non per sempre… Volevo conoscere intellettuali, artisti, giornalisti che vedono il mio stesso mondo dalla costa opposta, che hanno idee migliori delle mie. O pescatori turchi, baristi libanesi, cameriere o funzionarie greche, israeliane, tunisine, francesi. Gente della mia terra. Gente del mio mondo. Del mio mare.

E non volevo farlo da solo, cosa che avrei potuto fare senza problemi. Ma con persone che avessero analoghe passioni. Che cercassero cose in sintonia con la mia visione. A cui potessi offrire quel ho da dare, per ricevere quel che loro volevano darmi. Mi piaceva l’idea che avendo qualche talento (come ognuno ne ha di propri) e avendo fatto certe scelte, non solo io, ma anche altri ne beneficiassero. L’ho fatto per farmi voler bene, certo, come sempre facciamo tutti, ma non solo. La costruzione di cose utili a tanti, grazie alle energie che abbiamo e a ciò che possiamo mettere in comune, è il primario e forse maggiore contributo che possiamo offrire al mondo. Io questa domanda me la faccio sempre: “cosa porto io, cosa offro, cosa sto dando io ad altri, che possano goderne?”.

Per questo sono salpato. Per non morire prima di aver fatto ciò che amavo. Prima di aver fatto tutto il possibile.
Quanto ho da vivere, trent’anni? Oppure due? Ecco, ora non è ancora quel giorno. Per questo sono partito nel 2013 e poi ufficialmente nel 2014. Per questo ho ideato e lavoro tanto a #ProgettoMediterranea.

Dunque, eccovi la rotta per quest’anno. Da Trapani a Lisbona via Marsiglia. Guardatela e, se volete, venite con me.

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Tra maggio e settembre navigheremo da #Trapani fino a #Lisbona, in una rotta tutta europea. Quelli che chiamiamo gli “Amici di Mediterranea”, cioè chiunque voglia venire a bordo per un tratto, sono i benvenuti per condividere e partecipare alle attività della spedizione.

Le tappe principali sono quelle indicate sulla mappa e lì si svolgeranno i cambi dell’equipaggio, mentre durante la navigazione, ci saranno soste in baie e in eventuali piccoli porti intermedi. Attraverseremo il #Pelagos – Santuario dei Cetacei, splendida area marina protetta del #Mediterraneo, compresa fra la Toscana, Liguria, Sardegna e Provenza. Saremo quindi a #Marsiglia e #Barcellona, per gli incontri culturali del programma culturale del Progetto Mediterranea e poi, attraverso #Gibilterra, passeremo in #Atlantico per raggiungere Lisbona. Sempre con rispetto di ciò che il mare vorrà concederci.

Per ricevere il calendario di navigazione, per prenotarvi e per ogni altra informazione, l’unico modo è scrivere all’indirizzo del nostro sito, che vedete sulla cartina.

#progettomediterranea #Rotta2018 #incontriculturali

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Aspetto il vento

Un vulcano. Un’isola. Ieri..

Navigare. Sempre. Muoversi prevalentemente tra le isole. Tracciare rotte e percorrerle, evitando quelle soltanto immaginate come fossero teredine in grado di sbriciolare lo scafo duro della più resistente esistenza. Disegnare poi, col carboncino del fuori rotta, che differisce sempre dall’idea primigenia, immagini marine occulte, tinte di sorpresa e sconcerto, giorni duri e meraviglia. Comprendere, soltanto molto tempo dopo, che quel profilo, che pareva solo linea rotta, somiglia a ciò che non sapevamo immaginare così puntualmente, l’idea mai avuta di sé, che dovevamo avere nel “tempo sognato in cui bisognava sognare”. Assorbire, con la sensazione mutevole che recano le buone o cattive notizie, ciò che eravamo, ciò che siamo diventati, nel cazza e lasca di quella che non sapevamo fosse ben più di una tratta, ma il farsi mentre lo si sta facendo. Il divenire mentre si sta diventando. E di cui, generalmente tardi, comprendiamo il rispetto dovuto, che avremmo dovuto, incerti di essere più colpevoli o più vittima, giacché chi lo doveva dare e chi ne aveva diritto erano la stessa persona. Eppure, così, improvvisamente, prima di quel giorno, come oggi, accorgersene, in medio tratto, nella linea rotta del presente.

Mi sono accorto che sono salpato, qualche anno fa, per un lungo viaggio, con un’idea del Mediterraneo fatto delle terre-nazioni che lo attorniano; mi sono sviluppato di miglio in miglio in un’idea di Mediterraneo delle città che lo accumulano, custodi della sua anima puntiforme e della natura lunga; mi sto distaccando dal pregiudizio dell’inconoscenza con l’idea di un Mediterraneo delle isole, contenuto in luogo del contenitore, il mare, dunque, finalmente, non i paesi; il mare, non le terreferme; il mare, non i fondachi assurdi in cui, pure, godere. Isole, punti di una retta tracciata da un maniaco, che a unirli riflettono sempre e solo un’altra immagine (la sua vittima), anche se offrono senso. Da osservatori, quando si salpa davvero, si diventa amanti, poi tessitori, di lunghi dialoghi amorosi sulla tela seta della speranza.

Aspetto il vento, qui, oggi, in una baia a scirocco. Forse mercoledì arriverà da ponente. Rotta a sud per un’altra, ennesima isola. Il punto estremo e fatale di un visionario cieco, amaro: Dragut rais.

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Parole. Navigazioni

Isole, prua, mare, costa.

Scrivo e correggo mentre navigo nell’Egeo. Un libro anomalo, sulle isole. Linguaggio di ricerca, parole prima pensate, poi create e sperimentate, forzate al senso estremo del loro significante. Facevano così i maestri d’ascia, che per ogni lavoro prima si costruivano lo strumento. Ieri col vento che spingeva bene, ho cercato di descrivere i suoni che ascoltavo, il ciangottio della poppa, il fruscio della chiglia, il tintinnio dei grilli, le campane delle drizze, gli stocchi delle torsioni del legno. Le parole raccolte sul mare hanno una precisione particolare: spiegano anche molto coi suoni. Dunque, precisamente, non sono solo parole, ma anche note.

Vengo da Levante, dopo Cipro, Libano e Israele, dandomi il cambio a bordo con altri marinai con cui, ognuno per le sue tratte, abbiamo percorso con calma 800 miglia in cinque settimane, fino a Kythira, sud Peloponneso. In migrazione, come i pelagici, seguo venti e correnti, sfruttando ogni possibile angolo tra la prua e i flussi. Navigare a vela è una questione goniometrica e di scorrimenti.

Ma non solo pelagico, anche in grado di fermarmi, dunque dialogico: comunichiamo, silenzi e parole, note e pause del grande spartito. A bordo e negli sbarchi conosciamo, tornando come gli assassini sui passi dei nostri transiti più o meno sanguinosi. Ci rappacifichiamo con le baie patite, scopriamo rade tralasciate in remoti giorni di agitata navigazione. Come pescatori eternamente intenti, rammendiamo reti, cuciamo strappi alle vele, sorprendendoci assai spesso. Vivere in mare è questione artigianale, che si fa con le mani.

Passare molto tempo in mare: lo “strumento” più simile al “fine” che io conosca. Come l’imbarcazione, che mentre porta lontano offre cittadinanza, consente l’immaginazione di sé negli altrove senza patria che un giorno, forse, saranno casa. Ma solo se verranno sognati: il mare favorisce sane nostalgie, proietta il pensiero, ma fa derivare senza meta se il marinaio non riesce a vedere l’invisibile.

Per questa rotta, da levante a ponente, così facendo, così sentendo, così cercando, non incontro isole né approdi, che pure rincorro per il mio libro. Con le vele e con la mente sperimento la condizione insondabile e temporanea da cui vengono le idee, le immagini, e soprattutto le parole:

Erede dell’oro e protagonista della miseria, il marinaio è ricco della moneta fuori corso con cui si acquistano i sogni e si vendono le nostalgie. In bilico tra la vita e la morte, non abita mai ciò che è suo, è sempre costretto ad abbandonare ciò che gli appartiene, e risiede lungo la rotta stimata tra i diversi. Per questa rara facoltà, paradossale e metafisica, condanna che brucia sulla sua pelle più di qualsiasi ferro rovente, l’uomo di mare è l’unico a saper sillabare l’inconsapevole alfabeto del senso. Un’odiosa balbuzie, il suo racconto del Mediterraneo…

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Adesso Basta (e Mediterranea) a RAI3

Dal minuto 20′.52″. Riflessioni sul cambiamento a “Ambiente Italia”, su RAI 3. Buona visione.

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